Come dire al cliente che ha perso soldi senza farti odiare (guida di sopravvivenza alla comunicazione in tempi di crisi)

Come dire al cliente che ha perso soldi senza farti odiare (guida di sopravvivenza alla comunicazione in tempi di crisi)

Oct 23, 2025

Il mercato è sceso.


E con lui è scesa anche la pressione sanguigna del tuo cliente.


Apri il portafoglio, vedi rosso, senti gelo. Lui ti guarda come se avessi appena messo la macchina in retro contro il suo SUV nuovo.


Capita. A tutti. Da 35 anni lo vedo: non è il -12% che rompe la fiducia, è come lo racconti.


Perché quando dici “è solo volatilità”, il suo cervello traduce: “sei solo tu che minimizzi”.


Quando srotoli 14 slide, lui vede geroglifici e pensa: “sto pagando un egiziano antico o un consulente?”.


Quando attacchi con i grafici, lui sente che stai difendendo te stesso, non proteggendo lui.


La verità è semplice: in crisi non vince il più tecnico, vince chi mette ordine nell’emozione.


Non devi fare il confessore, non devi fare il comico, non devi fare lo sciamano.


Devi fare il traghettatore: prendi la paura, leghi due nodi, la carichi sulla barca e la porti dall’altra parte con una direzione chiara.


Questo articolo non è per convincere il mercato a risalire.


È per evitare che la fiducia scenda più del listino.


Ti do parole, struttura e tono per dire “abbiamo perso” senza perdere il cliente.


Si può. Con rispetto, con empatia, con precisione.


E con meno Excel e più italiano.


Pronto? Andiamo punto per punto.


Quando il mercato scende, scende anche la fiducia


La vera crisi non è del portafoglio: è del linguaggio.


Il cliente non misura la tua bravura nel picco, ma nel panico.


Se parti con “statisticamente”, lo perdi al secondo avverbio.


Se parti con “capisco come ti senti”, stai già abbassando la temperatura.


Inizia dal terreno comune: “Sì, oggi fa male.”


La frase che apre una porta è breve, concreta, adulta.


Poi incornicia: “Vediamo cosa sta succedendo, cosa significa per te e cosa facciamo adesso.”


Tre promesse in fila: realtà, senso, direzione.


È la scaletta mentale che calma l’amigdala e riaccende la corteccia.


Errore classico?


Saltare subito alla difesa tecnica: “Il benchmark ha fatto peggio…”.


Trappola. In crisi, ogni giustificazione suona come alibi.


Pensa così: il cliente è su una barca che rolla.


Non vuole una lezione sui venti dominanti dell’Atlantico.


Vuole sapere dove metti il timone.


Chiarita la scena e spento l’incendio lessicale, passiamo alla verità scomoda — quella che salva più relazioni di qualunque rimbalzo tecnico.


Non è il mercato che fa perdere i clienti


Se glielo spieghi male, il problema sei tu.


Questa è dura da digerire, ma è la verità.


I clienti non scappano per le perdite.


Scappano quando non capiscono cosa sta succedendo.


Il rosso sul conto non è un numero: è un colpo allo stomaco.


E tu, se rispondi con un foglio Excel, gli stai dando un’aspirina per un femore rotto.


Il cervello del cliente sotto stress fa una cosa sola: cerca un colpevole.


E indovina chi ha la faccia più visibile in quel momento?


Esatto: tu.


In quei momenti non è il “mercato globale” che gli parla, sei tu il volto della perdita.


E se non traduci subito il caos in senso, diventi il bersaglio.


Quindi dimentica la frase “il mercato si riprenderà”: è come dire “dai, tra qualche ora arriva la bassa marea” a uno che sta affogando.


Piuttosto, spiega cosa significa oggi quella perdita.


Non “perché” è accaduta — il cliente non è interessato alla geoeconomia — ma che cosa comporta per lui, adesso.


Un esempio?


“Il portafoglio ha perso valore, ma non reddito. È come se la casa valesse meno, ma l’affitto continuasse a entrare.”


Chiaro. Visuale. Concreto.


Ogni volta che rendi comprensibile un evento doloroso, abbassi la tensione.


E quando la tensione scende, la fiducia risale.


Ma attenzione — anche con le parole giuste, ci sono frasi killer che fanno più danni di un crollo del Nasdaq.


Vediamole subito.


Non dire “non si preoccupi”

(il cervello lo traduce in “preoccupati subito”)


È la frase più usata, più istintiva e più pericolosa del settore.


Nasce dalle buone intenzioni, ma arriva come un pugno avvolto nella seta.


Perché appena dici “non si preoccupi”, il cervello del cliente capisce: “c’è qualcosa per cui preoccuparsi, ma lui non me lo sta dicendo.”


È la versione consulenziale di “stai calmo” detta a chi è già furioso.


Quando una perdita fa male, il cliente non vuole essere tranquillizzato.


Vuole essere ascoltato e guidato.


La differenza è enorme:

– il primo lo fa sentire piccolo,

– il secondo lo fa sentire al sicuro.


Le parole che salvano una relazione non sono zucchero, sono ancore.


Prova con:

“Capisco che fa effetto vedere il rosso. Vediamo insieme cosa c’è dietro e cosa possiamo controllare.”


Oppure:

“Non posso cambiare il mercato, ma posso farti capire cosa sta succedendo e cosa faremo da qui in avanti.”


Empatia vera, senza pietismo.


Dire la verità con calma, non con freddezza.


Mostrare controllo, non superiorità.


Ricordati: l’empatia non è dire “ti capisco”, è farlo sentire.


E il modo migliore per farlo sentire è dare forma alla sua paura con parole che non la negano, ma la incanalano.


Una volta rimessa in asse la conversazione, arriva la parte più delicata — come strutturare la comunicazione di crisi, passo dopo passo.


La struttura della conversazione difficile


Il metodo in 3 fasi per dire la verità e mantenere la fiducia

La verità è che non puoi “improvvisare” una conversazione di crisi.


È come camminare su un filo con un bicchiere d’acqua in mano: basta una parola storta e ti ritrovi fradicio, tu e la relazione.


Per questo serve una struttura.


Tre fasi semplici.


Non da manuale, ma da esperienza sul campo.


Fase 1 — Verità: “Sì, è successo.”


Niente giri di parole, niente “contesto di mercato”.


Apri con la realtà: breve, chiara, adulta.


“Il portafoglio ha avuto una perdita del 9%.”
Punto.
Ammettere subito ti dà credibilità, perché il cliente smette di sospettare che tu stia nascondendo qualcosa.


Fase 2 — Significato: “Ecco cosa vuol dire per te.”


Qui entri nel merito, ma in modo narrativo, non tecnico.


“È come se la tua casa oggi valesse meno, ma continuassi a viverci dentro. Il valore cambia, la funzione no.”
Dai senso. Colleghi l’evento a una storia che ridimensiona il panico.


Fase 3 — Direzione: “Ecco cosa facciamo ora.”


Chiudi sempre con un piano, anche minimo.


“Non tocchiamo nulla finché non vediamo se il trend si conferma. Intanto monitoriamo e ci aggiorniamo tra dieci giorni.”
Dare una direzione riduce l’impotenza, e l’impotenza è la benzina della paura.


Una conversazione difficile non va mai “riempita” di parole.


Va ritmata come un respiro: dire, ascoltare, spiegare, rassicurare.


Quando il cliente sente che guidi tu la pausa, capisce che puoi guidare anche la tempesta.


Ora che hai la struttura, vediamo come suona nella realtà — con un esempio concreto di comunicazione “prima e dopo”.


Come dire “abbiamo perso il 12%” senza farti odiare


Eccoci al momento clou: la frase che tutti temono, quella che può trasformare un cliente in un ex cliente nel giro di venti secondi.


Ma tranquillo: non serve ipnosi, serve tono.


E struttura.


Versione classica — quella che rovina tutto:

“Come può vedere dal report, il portafoglio ha registrato una flessione del 12%, ma il benchmark ha fatto peggio.”


Stop.


Hai appena detto tre cose sbagliate:


1️⃣ “Come può vedere” (il cliente non vuole guardare, vuole capire).

2️⃣ “Flessione” (è un eufemismo: suona come “stai cadendo, ma con stile”).

3️⃣ “Il benchmark ha fatto peggio” (tradotto: “non sei l’unico sfigato”).


Versione riscritta — STORICAL™, cioè umana e chiara:


“Il portafoglio oggi vale meno del mese scorso, sì. Ma la buona notizia è che non abbiamo perso ciò che conta: la direzione e il piano. Questo è un passaggio, non una fine.”


Oppure, se vuoi alleggerire con un’immagine:


“È come un volo con turbolenza: stiamo ballando, ma non stiamo precipitando.”


Stessa informazione, tono completamente diverso.


L’obiettivo non è mascherare la perdita, ma ridarle contesto e controllo.


Così la paura torna a una dimensione gestibile, e la fiducia si riaccende piano, come una spia verde dopo un blackout.


Fin qui tutto bene quando il mercato è il colpevole.


Ma che succede quando — diciamolo — il cliente è parte del problema?


E magari tu lo avevi anche avvertito?


È lì che serve il massimo equilibrio tra sincerità e diplomazia.


Quando la perdita è colpa del cliente

(ma non puoi dirglielo così, se vuoi continuare a lavorarci)


Ci sono momenti in cui, dentro di te, vorresti urlare:


“Te l’avevo detto.”


Ma non puoi.


Non perché non sia vero, ma perché nel momento in cui lo dici, stai solo cercando vendetta, non fiducia.


E la vendetta non paga le provvigioni.


Quando il cliente ha voluto “fare di testa sua” — cambiare linea, anticipare, inseguire la moda del mese — e ora si ritrova col portafoglio in ginocchio, non serve ricordargli il suo errore.


Serve ricordargli che può rimediare.


Mai dire:


“Gliel’avevo sconsigliato.”
Perché il suo cervello sente: “Mi stai umiliando.”
E l’umiliazione chiude più conti di qualsiasi mercato orso.


Prova invece con una frase di risalita, non di rimprovero:


“Capisco perché allora ti sembrava la scelta giusta. Ora che abbiamo i numeri sotto mano, possiamo capire insieme come correggere la rotta.”


Oppure:


“Non è un errore, è un dato. E i dati servono solo a migliorare la prossima decisione.”


Quando sposti l’attenzione dal passato alla possibilità, il cliente smette di difendersi e ricomincia a collaborare.


Perché il tuo ruolo non è quello del profeta che aveva ragione, ma del capitano che, anche se il marinaio ha girato il timone troppo presto, trova comunque la rotta di ritorno.


A questo punto, se hai retto la tensione e mantenuto la calma, hai già fatto metà del lavoro.


Ma la parte più sottile arriva ora: la memoria emotiva di questa conversazione.


Quella che resterà impressa nel cliente più della performance del portafoglio.


La parte che nessuno dice


Il cliente non ricorderà quanto hai perso.


Ricorderà come lo hai fatto sentire.


Questo è il vero KPI della consulenza.


Non la performance, non il drawdown, non il benchmark.


Il tono emotivo della conversazione durante la crisi.


Dopo 35 anni in questo mestiere, ti posso garantire che la memoria finanziaria dei clienti è cortissima.


La memoria emotiva, invece, è un elefante.


Si ricorda tutto.


Le pause, le parole, la tua voce che tentenna o che rassicura.


Il cliente non archivia i dati, archivia sensazioni:


  • “Mi ha parlato come a un amico.”
  • “Non mi ha giudicato.”
  • “Mi ha spiegato senza farmi sentire scemo.”


Se la crisi diventa un momento di chiarezza, non di confusione, esci più solido di prima.


Perché mentre gli altri consulenti perdono portafogli, tu costruisci radici.


Un consiglio pratico: subito dopo la chiamata o l’incontro, scriviti due righe.


Cosa hai detto, cosa ha risposto, che tono hai usato.


Ti servirà la prossima volta che la marea si abbassa — perché si abbasserà, sempre.


E tu avrai la mappa di come hai tenuto dritto il timone.


Il punto non è “non perdere mai”.


Il punto è saperci parlare quando succede.


E far sì che il cliente, dopo averti ascoltato, pensi:


“Ok, ho perso dei soldi. Ma non ho perso il mio consulente.”


E visto che la memoria emotiva è tutto, chiudiamo con qualcosa di molto pratico: la tua checklist STORICAL™ per sopravvivere alla prossima tempesta.


La checklist STORICAL™ della comunicazione in tempi di crisi


10 micro-azioni linguistiche per restare umano quando il mercato è disumano


Perché nelle crisi non vincono i consulenti con le slide più belle.


Vincono quelli che sanno parlare bene quando tutto va male.


Ecco la tua mini-checklist di sopravvivenza STORICAL™. Stampala, attaccala dietro al monitor, e usala ogni volta che senti odore di tempesta.


1️⃣ Inizia sempre con la realtà, non con la difesa.


“È andata così.” → poi spiega.


Non invertire l’ordine: la fiducia si spegne con un “sì, ma…”.


2️⃣ Dì “noi”, non “io” o “voi”.


Siete nella stessa barca, non ai lati opposti del tavolo.


3️⃣ Evita i verbi passivi.


“La perdita è stata registrata” suona come un’autopsia.


Dì: “Abbiamo perso X, ma ora facciamo Y.”


4️⃣ Spiega con immagini, non con sigle.


“È come un volo con turbolenza” resta nella mente.


“È una fase di correzione tecnica” resta nel nulla.


5️⃣ Non chiudere mai senza un piano d’azione.


Anche piccolo. Anche temporaneo.


L’assenza di direzione è il vero nemico.


6️⃣ Ribadisci ciò che non è cambiato.


La strategia, il metodo, il motivo per cui investe.


Dà continuità e calma.


7️⃣ Gestisci la voce, non solo le parole.


Un tono lento, calmo, senza scuse.


La voce è il linguaggio della fiducia.


8️⃣ Scrivi un follow-up entro 24 ore.


Una mail breve: “Ecco cosa ci siamo detti e cosa facciamo ora.”


Rende la calma tangibile.


9️⃣ Non promettere ciò che non controlli.


Prometti solo azioni, non esiti.


“Ti richiamo fra dieci giorni” vale più di “andrà tutto bene.”


🔟 Chiudi sempre con un punto fermo, non con un punto interrogativo.


Non chiedere: “Va bene così?”


Dichiara: “Ecco cosa faremo, insieme.”


La fiducia, come il capitale, si costruisce con i rendimenti composti.


Ogni parola giusta è un interesse che cresce nel tempo.


E adesso che hai strumenti e struttura, ti manca solo un ultimo passaggio — quello più sottile, ironico e vero: la chiusura umana.


Il mercato scende...

... ma se scende anche la tua empatia,

hai un problema più grosso.


Eccola, la vera regola d’oro:


non puoi controllare il mercato, ma puoi controllare il tuo linguaggio.


E il linguaggio, nei momenti difficili, vale più di qualunque performance trimestrale.


Quando il cliente è nel panico, non sta cercando un genio della finanza.


Sta cercando un essere umano che non scappi con lui dentro la paura.


Qualcuno che resti fermo, lucido e capace di dargli parole per rimettere insieme la realtà.


Puoi avere tutte le certificazioni del mondo, ma se comunichi male, diventi invisibile.


Puoi non averne nessuna, ma se parli bene — bene nel senso umano del termine — diventi indimenticabile.


Perché alla fine, la consulenza non è un mestiere di numeri.


E' un mestiere di nervi, empatia e narrativa.


Il resto lo fa il tempo.


Quando tutti parlano di rendimenti, tu parla di fiducia.


Quando tutti si difendono, tu spiega.


Quando tutti dicono “non si preoccupi”, tu chiedi: “come si sente?”


È così che si resta, mentre gli altri passano.


Non aspettare la prossima crisi per imparare a parlare.


Allenati ora, mentre c’è calma.


Ogni parola giusta detta oggi è un porto sicuro domani.


E quando il mare tornerà a muoversi — perché lo farà, sempre — tu sarai ancora lì, al timone.


KEEP IT SIMPLE


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